“Sappiamo benissimo che tipo di partita ci attende ad Avellino. Al Partenio sarà difficile per noi dal punto di vista ambientale anche perché certi trascorsi lasciano sempre degli strascichi. Loro sono molto aggressivi e fisici e sono in grado di esercitare una certa pressione fino al limite dell’area avversaria. Fanno un gioco maschio e saranno certamente arrembanti, quindi noi non potremo pensare di impensierirli giocando col fioretto.”
E meno male che son parole sue… queste di mister Nicola in conferenza stampa potevano in un certo modo lasciare intendere quale sarebbe stato il tipo di approccio e d’impostazione di gara da parte della sua squadra. E teoricamente il suo ragionamento poteva anche starci, considerato che comunque si andava a giocare in un campo storicamente ostico e si affrontava la terza in classifica evidentemente “caricata a pallettoni” dai suoi tifosi quasi fosse un derby, vista anche l’impossibilità di giocare quelli reali con Napoli e Salernitana: contenti loro…
Frustrazioni avversarie a parte e tornando sulle parole di Nicola, la realtà dei fatti ha dimostrato ben altro: il Bari non solo non è andato in Campania a giocare armato di fioretto, ma è praticamente sceso in campo impaurito e disarmato. In un’atmosfera ed un clima (non solo meteo) infernale e del tutto surreale, è mancato solo che capitan Donati sventolasse un’arrendevole bandiera bianca non appena scesi in campo.
Servivano undici uomini… undici gladiatori pronti a lottare su ogni pallone e rispondere ad ogni tipo di provocazione spicciola dei bianco verdi, ma alla fine dei 95 minuti, davvero in pochi si sono dimostrati tali. E la colpa per buona parte è anche dell’allenatore. Certo, la terza partita in sette giorni e diversi acciacchi fisici di alcuni giocatori, avranno avuto il loro peso su alcune scelte ma per quanto si è visto in campo, viene facile pensare che le valutazioni di formazione fatte dall’ex tecnico del Livorno per una partita cosi “maschia” e fisica, siano state completamente sbagliate.
Si è permesso a tale gente di nome Pisacane, Zito, Castaldo e D’Angelo, di fare i fenomeni dentro e soprattutto fuori dal campo e solo perché dall’altro lato hanno trovato semplici agnellini biancorossi pronti ad essere sacrificati e sbranati dai lupi bianco verdi. Aggrediti con cattiveria sin dal primo minuto (anzi, dal riscaldamento) e andati in svantaggio, non è arrivato un minimo e concreto accenno di reazione (se non qualcosina nel secondo tempo), senza mai dare l’impressione di poter o voler recuperare. Una squadra spenta e passiva che si è lasciata sopraffare da un avversario tutt’altro che tecnico.
A salvarsi da questa umiliante trasferta di Avellino, sono davvero in pochi e quasi sempre i soliti, ossia Donati, Contini ed Ebagua…guarda caso quelli con più esperienza alle spalle ed i più abituati a certi tipi di partite, anche se il nigeriano dovrebbe pensare più a giocare piuttosto che legarsi ed aggiustarsi i capelli… ma non è solo colpa sua se viene poco servito dal resto della squadra, compagni d’attacco in primis. Disastrosi, per usare un eufemismo, tutti gli altri ma creano imbarazzo le prestazioni in particolar modo di uno spaesato Schiattarella, assolutamente inadatto in quel ruolo, di un invisibile De Luca che da titolare non rende come da subentrato e infine di un Salviato sempre più inadeguato a giocare a questi livelli e che mi auguro personalmente di non vedere più in campo d’ora in avanti in assenza di Sabelli. Si adattino a destra Defendi, Schiattarella, Filippini o si promuova dalla primavera il promettente Scalera… ma per carità, basta con Salviato.
Col senno di poi è sempre facile parlare, ma sono chiare le responsabilità di Nicola nell’aver scelto certi giocatori per affrontare questo tipo di partita: ma siamo davvero sicuri che non serviva gente come il “cagnaccio” Romizi con la sua aggressività, Defendi con il suo dinamismo o Minala con la sua “fame” ed il suo fisico? Restano tanti ma tanti dubbi a riguardo…
Da non trascurare, ma oramai non è più una novità, la sterilità degli schemi offensivi apportati da Nicola e che lasciano molte perplessità: insistere col lancio lungo per Ebagua (per di più, per un tempo con il vento a sfavore) e affidarsi alle conclusioni da fuori area o alle fiammate dei singoli, ma quali effetti potrà portare alla lunga?
E’ vero che è inutile pensare al passato, però mai come questa volta, quanto sarebbero serviti un Polenta o un Gennaro Delvecchio nella corrida avellinese… perché quando manca la tecnica (e l’Avellino ne è la prova evidente) è giusto giocarsela senza paura sul piano fisico e rissoso… magari avremmo perso ugualmente e forse anche finito in inferiorità numerica, ma di sicuro non si sarebbe permesso agli avellinesi di alzare la cresta…Quello avremmo dovuto farlo noi. I galletti siamo noi.
Tra quindici giorni altra partita calda e delicata in quel di Pescara… per evitare un altro scempio (memore soprattutto della gara di andata) come quello andato in scena ad Avellino, sarebbe opportuno ricordare ad allenatore e giocatori di onorare la maglia che indossano e a tirare fuori i cosiddetti già dalla prossima in casa. Aldilà degli evidenti risultati negativi (13 sconfitte!) e della deludente classifica, l’aspetto più brutto è proprio questo, ossia di vedere dopo trenta giornate, una squadra senz’anima, senza la giusta fame e con nessuna voglia di provare a lottare per un obiettivo: occorre svegliarsi e darsi una regolata, perché qui nessuno ha voglia di rivedere il trenino fatto da Sansovini, Memushaj e compagnia sotto la curva pescarese…
N.I.